
Tracce del passato nella Piana di Sibari
Scendeva ogni giorno alle prime luci del giorno per quella via mio nonno, Francesco Albiani (Cassano 1875 – 1963), andava verso Sibari per fermarsi nella sua fattoria a Caccianova. In primavera e in estate con il suo cavallo, la bisaccia sulla sella con la colazione, si allontanava da Cassano per occuparsi di quella piccola proprietà, a sera tornava in paese per
evitare il contagio della malaria e godere la compagnia della famiglia.
La bisaccia era piena di verdura, frutta, cacciagione, tartufi e funghi che aveva raccolto mentre controllava i lavori nei campi, o mentre girovagava con il fucile in spalla in cerca di selvaggina: beccacce, pernici, lepri e fagiani.
In inverno la famiglia si trasferiva nella casa di campagna, perché la strada era impervia, la zanzara della malaria scompariva per il freddo, e i lavori nei campi da controllare erano più impegnativi.
Aveva ereditato quella proprietà a quattordici anni, quando il padre era morto prematuramente, il mio bisnonno Francesco senior, era stato lui, proveniente dalla Toscana prima dell’Unità d’Italia, a disboscare quei terreni e a creare una fattoria sul modello toscano: casa padronale al primo piano in mattoni rossi, stalle, frantoio, magazzini, il tutto circondato
da oliveti, aranceti, alberi di gelso per allevare i bachi da seta, alberi di acacia per nutrire alveari di api e raccoglierne il miele.
L’abitazione era stata costruita con degli accorgimenti difensivi contro eventuali attacchi dei briganti: vicino alla porta d’ingresso e a ciascuna finestra c’era una feritoia, dove veniva piazzato un fucile. Ai miei tempi quelle aperture erano rimaste in parte funzionanti,
servivano a raccontare le vicende del passato e permettevano ai gatti di casa di avere libertà di movimenti, per tornare a piacimento al calduccio del camino e alla ciotola del cibo.
Abile agronomo, invitato a Cassano dal marchese Luigi Serra di Cassano, il bisnonno era riuscito a debellare la peronospora della vite in collina e in pianura con l’uso di irrorazioni di zolfo, accortezza ignorata al sud, ottenendo riconoscimenti dal Comune e facilitazioni per
acquistare terreni.
Alto, maestoso, nei suoi tratti ricordava quelli degli etruschi, buon rabdomante, cercava nelle sue proprietà terriere bolle di acqua, anche a Caccianova aveva trovato nei pressi delle costruzioni una fonte di acqua sorgiva, creando un pozzo profondo circa 22 metri, per l’uso
domestico e per tutti coloro che ne chiedevano.
Aveva sposato una fanciulla cassanese, Lucia Seminara e da loro erano nati mio nonno e quattro belle fanciulle, ma la sorte lo aveva portato via troppo presto, lasciando al figlio maschio l’onere di sostenere la famiglia.
Il nonno aveva lasciato gli studi ginnasiali per condurre l’azienda agricola con amore, passione e sacrificio, riuscendo a realizzare buoni profitti per dotare le sorelle, sposarle e continuare la presenza Albiani, molto stimata, nel territorio. Si preoccupava di mandare gli agrumi al nord Italia, facendo spedizioni con carri di ferrovia, faceva andare il frantoio in loco
per l’uso di tutti i proprietari di oliveti della Piana.
A maggio badava alla attenta potatura degli aranci e, tra febbraio e marzo, aveva cura degli ulivi, di cui si occupavano potatori provenienti da Bitonto, una cittadina pugliese. Era un appuntamento durato negli anni, gli esperti pugliesi restavano ospiti per una quindicina di giorni e con la loro maestria alleggerivano gli alberi per dar loro nuova forza vegetativa. La loro presenza era anche uno scambio culturale da regione a regione, all’epoca distanti per la scarsa viabilità.
In estate c’era la mietitura a mano del grano, le spighe raccolte in covoni venivano portate nell’aia, dove erano battute e ribattute dal passaggio di cavalli per distaccare i chicchi, racchiusi nel loro involucro, eliminandolo con la ventilazione e spostando a palate il materiale. Il vento liberava i preziosi chicchi dalla paglia e , ulteriormente ripuliti, erano
portati al mulino o conservati nel granaio. In inverno dava asilo alle mandrie di mucche in transumanza, ottenendo formaggi e
letame per le sue coltivazioni. A venticinque anni ha pensato a una sua famiglia, sposando Michelina Santopaolo di Terranova, allietata da quattro figlie e un figlio maschio, Francesco, ma la sorte lo ha privato di quell’unico figlio maschio, morto di polmonite a dodici anni dopo un bagno presso i Bagni del conte Basta.
Il cognome Albiani si è così perduto nel sud Italia, mia madre, Stella Albiani a ventisei anni ha seguito il marito, Vincenzo Cersosimo, anche lui cassanese, ma aviatore, perciò lontano dal paese per i suoi impegni di servizio.
Le figlie Amalia e Concetta sono rimaste in paese occupate con le incombenze di madri e di spose, la figlia Rosina, nubile, si è occupata del nonno dalla morte della nonna nel 1942, fino all’ottobre del 1963, quando il nonno ci ha lasciato. Attiva e generosa zia Rosina ha portato avanti l’azienda, ormai divisa in quattro quote, da cui riusciva a trarre profitti per le spese e badava a tenere positiva la rendita per la sua quota e per quella di mia madre. Noi nipoti siamo stati i suoi figli, alla sua morte ha lasciato
un po’ del suo cuore, fermo in quel lembo di Piana, diviso tra noi nipoti, quale ricordo del suo amore per quella proprietà, che le veniva dall’operosità di chi l’aveva preceduta.
Ad agosto 1998, siamo tornati a trascorrere il ferragosto in Calabria nella casa di campagna, per godere la compagnia dei cugini comproprietari, venuti da lontano per trascorrere in compagnia reciproca un po’ di ferie e godere il bel mare di Sibari C’era un caldo africano, le zanzare assetate di sangue, distribuivano bernoccoli a piene mani, ma la buona compagnia rendeva il tutto sopportabile.
In un pomeriggio, particolarmente ozioso, riuniti in giardino a qualcuno, venne l’idea di analizzare il contenuto di un comò in disuso da parecchi anni: ritrovammo lettere, fotografie, ricordi lontani, il biglietto della mia nascita, lettere di mia madre alle sorelle e una lettera del 1947 inviata al nonno dal cugino Domenico, americano ormai da molti anni, con carta
intestata della “ALBIANI LUNCH COMPANY” di Boston.
Mamma parlava dei cugini del nonno emigrati in America alla fine dell’ottocento, che nel 1920 era tornati in visita a Cassano, ricchi e famosi, e che durante la guerra mandavano pacchi d’indumenti per mamma e le zie, ma con lo scorrere del tempo si erano perduti i contatti.
Quella lettera che parlava di scarpe e indumenti inviati accese la mia curiosità, avrei scritto io a quell’indirizzo per recuperare il contatto, la conoscenza dell’inglese mia e di mio fratello poteva essere un valido aiuto.
Di ritorno a casa scoprimmo che i nostri vicini erano sul punto di partire per Boston per visitare alcuni parenti, al ritorno ci portarono otto recapiti di famiglie Albiani, residenti in quella città. Partirono subito delle lettere indirizzate a quel contatto ritrovato, con cenni alle notizie tramandate da mamma e dalle zie.
È stato un piacere ricevere lettere dai giovani Albiani, nipoti dei cugini del nonno, a ottobre era nostro ospite Mike, un ragazzone americano di venticinque anni, in giro per il mondo per un anno sabatico dopo il diploma, più tardi è venuto suo padre, Tony, con la moglie e un gruppo di amici. Scambi di notizie, fotografie per far rivivere il tempo andato.
In realtà prima dell’Unità d’Italia erano scesi due fratelli in Calabria dalla provincia di Lucca, Francesco e Settimo, i due fratelli avevano sposato due sorelle, Lucia e Filomena, Settimo aveva avuto nove figli, alla sua morte prematura, la famiglia, oberata dalle tasse imposte dal governo piemontese, aveva perduto le proprietà terriere e poco alla volta i ragazzi erano emigrati in America al seguito di una zia materna, portando con loro anche la mamma Filomena.
Mentre noi abbiamo raccontato le vicende italiane della famiglia, un professore americano, Eugenio Caldarone, nipote da parte di madre di uno dei cugini, ci ha regalato un suo scritto, dove abbiamo conosciuto la nascita dell’ALBIANI LUNCH COMPANY, con parecchie sedi sparse in Boston, una teatro delle vicende del romanzo “Love Story” di Erich Segal, la fine della Compagnia a causa della seconda guerra mondiale e la storia della
famiglia Albiani in America con foto e racconti.
Eugenio e la moglie sono venuti a trovarci e siamo andati in Calabria in loro compagnia per visitare i luoghi dove le due famiglie Albiani avevano vissuto.
Uno scambio interessante e gratificante che continua, grazie a FB, che mi permette un contatto quotidiano con parecchi di loro.
La gioia dell’incontro sarebbe stata perfetta se ci fosse stata mamma, lei che nel 1920 era rimasta affascinata da quei signori che parlavano uno strano dialetto calabrese frammisto a parole americane, spesso intervallate da BISINISSI, si sarebbe divertita un mondo ad ascoltare le nostre chiacchiere con quei parenti ritrovati dopo tanto tempo.
Quella palazzina in mattoni rossi, ricordo del bisnonno, ristrutturata e ampliata è stata per anni il punto di incontro di tutti i superstiti della famiglia, poco alla volta siamo rimasti solo noi nipoti, sparsi in giro e impegnati in altre attività. Ora quel mondo resta un ricordo, la
proprietà è passata in mano a giovani agricoltori, che ne traggono benessere dopo aver ripiantato aranceti e oliveti con tecniche moderne e più gratificanti.
Maria Laura Cersosimo