
Ore 4.03, l’urlo
Non sono mai stata brava in matematica, ma i numeri di quella notte li ho stampati nella testa e nel cuore in maniera indelebile e scavano ogni volta, dentro ad una ferita profonda che mi ha segnato l’anima.
Quella notte alle 4.03 di una qualsiasi domenica di maggio, la madre terra si è arrabbiata ed è improvvisamente scoppiata in un boato di ira che nessun figlio potrà mai dimenticare.
Ho mille immagini nella mia testa e se chiudo gli occhi riesco a rivedere ogni fotogramma di quei momenti, passarmi davanti al rallentatore e allo stesso tempo, le stesse immagini si sovrappongono, creando un vortice confuso di dolore e rabbia. In quel vortice non riesco più a distinguere alcun suono, alcun contorno. I volti delle persone mi appaiono sfuocati mentre le pareti della mia stanza perdono consistenza. Il rombo che ruppe il silenzio quella sera, mi è rimasto nelle orecchie come un sibilo continuo, eterno. Lì a ricordarmi quell’istante e a lasciare impressa nella mia mente quella sensazione di impotenza che anche oggi a distanza di dieci anni accompagna quasi come una pena da espiare.
Non sapevo ancora che gli scatti di ira di una Terra ferita, si sarebbero ripetuti anche a distanza di qualche giorno e che per molto tempo avrebbero lasciato segni di un dolore che non si potrà mai cancellare.
A distanza di tanti anni ancora mi domando come siamo arrivati al punto di portare una madre paziente e premurosa, ad una tale ira. Per secoli ci siamo nutriti dei frutti e dell’amore che il nostro territorio ci ha regalato, permettendoci di vivere in un ambiente ricco e prosperoso. Ma la pazienza ha un limite e la tolleranza arriva prima o poi a scontrarsi con tutte le nostre arroganze.
Quella notte del 20 Maggio 2012, per venti lunghissimi secondi, la nostra Terra urlò tutto il suo dolore. Vennero colpiti cinquantotto Comuni del nostro meraviglioso territorio, un immenso e tragico cerchio quella notte, unì ancora di più, anche se duramente, la gente da Modena a Reggio, da Bologna a Ferrara.
Ricordo ancora oggi, come se fosse passato un solo minuto, le ferite sulle nostre case a ricordarci che nessuno è mai al sicuro. Nemmeno nel proprio letto, nella propria stanza, nel pieno di un sogno meraviglioso, possiamo pensare che i nostri sbagli e la nostra superficialità, passino inosservati e restino impuniti.
Per tanto tempo ognuno ha cercato di curare le proprie ferite, rialzandosi a testa alta e mettendo a disposizione ogni energia rimasta per ricostruire quello che il grido di una madre arrabbiata, aveva in venti secondi distrutto. Sapevo che in quel momento paragonare la distruzione portata da un terremoto, alla rabbia di una madre, poteva sembrare paradossale ed estremo, ma era ciò che davvero vedevo, davanti al dolore di vite perdute, abitazioni distrutte, sogni rubati. Un madre non distrugge, crea, perché quindi era accaduto tutto ciò? Perché una tale punizione? Era necessario per risvegliare coscienze sopite?
Mi avevano abituata fin da bambina a considerare la nostra terra, in particolare il nostro territorio in cui avevamo la nostra vita, la famiglia, la casa, gli amici, il lavoro, come una grande madre generosa. Pronta a proteggerci e a darci i suoi frutti migliori per poterci sostenere e costruire, edificare palazzi e coltivare i suoi terreni. Il nostro territorio è particolarmente generoso e forse per questo, da sempre lo abbiamo dato per scontato.
Ma anche la più paziente delle madri, può urlare di rabbia e far tremare tutto ciò che in quel momento le sta attorno.
Quella notte cumuli di macerie seppellirono anni di fatiche, di speranze, abbatterono muri, ma questa volta non nel senso positivo in cui siamo abituati a vedere questa immagine. Non perdemmo soltanto cose materiali e il lavoro e i sacrifici di una vita. Qualcuno perse molto di più. Ancora oggi l’idea delle persone che quella mattina non si sono più svegliate, alzate per andare a messa o semplicemente per una passeggiata in centro, ci bucano il cuore mentre le immaginiamo nei loro letti disfatti diventati giacigli eterni, la loro libertà violata e la fine di tutto.
A volte penso che quella rabbia distruttiva, non sia avvenuta a caso alle 4.03 del mattino. Durante la notte, quando tutto è quiete e quasi tutti dormono. Quando ci crogioliamo nei nostri sogni e nei progetti per il giorno seguente, quando godiamo dei momenti di riposo, ignari di ciò che sta accadendo aldilà dei nostri sogni. L’urlo, nel silenzio della notte fa ancora più paura.
Chi come me e la mia famiglia perse “soltanto” la casa, oggi ringrazia ancora il suo Dio, per aver calmato sua figlia, la Terra e aver limitato i danni di una rabbia sopita, scoppiata quella notte all’improvviso. I figli perduti sono ancora oggi petali di una rosa che non sfiorirà mai. Quella del ricordo che anche chi non li ha mai conosciuti porta sempre con sé. La gente del mio territorio è generosa, attiva, forte e orgogliosa. Sa rialzarsi e non si arrende davanti alle difficoltà. La gente del mio territorio, ha fatto di quella ferita un ricordo indelebile con il quale ogni giorno ricostruisce quello che la rabbia ha distrutto.
So che i terremoti ci sono sempre stati, ma non posso non pensare che non siano grida di dolore. Immagino queste scosse violente, più o meno intense, come momenti in cui il mondo ci vuole dire che tutto ha un limite e che se continuiamo a sfruttare le risorse in maniera così sconsiderata, mettendo sempre davanti gli interessi di pochi, arriveremo ad un punto in cui gli equilibri saranno talmente fragili da crollare al primo soffio di vento. Oggi più che mai, nonostante si dica che il terremoto è un evento che non è possibile prevedere, sono convinta che si possa in un qualche modo prevenire. Non ho competenze tecnico-scientifiche per parlare in questi termini, ma dopo aver vissuto tale esperienza è stato naturale divorare fiumi di notizie e tra queste ciò che mi ha colpito maggiormente è quella che alcuni scienziati affermano che c’è una connessione tra queste due cose. Nostra madre Terra, risente di ogni equilibrio mancato e piange.
Anche la volontà della più generosa delle madri soccombe davanti alla devastazione dell’egoismo dei suoi figli.
Non posso non pensare che non ci sia una responsabilità di tutti quanti in quegli assestamenti più o meno rumorosi che da bambina mi descrivevano come un piccolo sobbalzo che la Terra fa ogni tanto, un inciampo, un piccolo starnuto, perché nonostante sia lì da miliardi di anni ha ancora bisogno di assestare i suoi movimenti, come anche noi esseri umani facciamo.
Ma questa volta non si trattava di un piccolo sobbalzo.
Quella notte ho dovuto spiegare a mia figlia di cinque anni, perché il suo sonno era stata sbalzato contro una parete. Quella volta, non ho potuto farle pensare che era un gioco, e le mie labbra non sorridevano mentre cercavo di dare un senso a ciò che era appena successo, come facevo ogni volta che dovevo calmare le sue paure. Non era giusto non raccontare ciò che davvero era accaduto, nemmeno il più disincantato dei bambini non poteva non cogliere la tragedia di quegli istanti.
Oggi mia figlia è una splendida e ribelle adolescente con lo sguardo rivolto al futuro. So che quello che i suoi occhi vedono ha radici nel passato e una grande voglia di riscatto.
La sua mente ha scordato quei venti interminabili secondi e i ricordi della terra che tremava ora è confuso e quasi impercettibile, ma la sua coscienza ricorda ogni istante come se fosse appena accaduto. Forse è per questo, per quella cicatrice invisibile, che si è fatta paladina di una nobile causa. Si unisce alle Piazze che urlano un pensiero che molti vorrebbero non ascoltare, si arma di guati e sacchi di plastica per ripulire parchi offesi dall’ignoranza, si arrabbia e urla contro chi permette abusi edilizi che deturpano il nostro paese. La sua voce arriverà al cuore di qualcuno o si fermerà contro le barriere dell’indifferenza? Chi, se non lei e milioni di giovani come lei, possono spingere a quel cambiamento che molti della mia generazione non ricordano più di volere attuare?
C’è voluto tempo per ricominciare, per tornare a chiudere gli occhi senza aver paura di tremare. C’è voluto tempo per tornare a dare fiducia alla nostra vecchia Terra, ad addormentarsi la sera senza guardare prima di essere in una posizione sicura e individuare una via di fuga, senza ascoltare il minimo rumore con sospetto. C’è voluto tempo per cadere in un sonno profondo dove puoi trovare soltanto sogni e svegliarti al mattino con l’animo libero da pensieri, pronta a ricominciare con la tua vita.
C’è voluto tempo e nulla è davvero mai tornato come prima.
Quello che abbiamo perso quella notte non sarà mai possibile ritrovarlo davvero. Ogni persona che ha avvertito anche lontanamente quel tremore, ha dentro di sé un senso di impotenza che niente potrà mai davvero cancellare. Chi ha perso tanto, in termini di vita costata a persone care, si porta dentro un dolore che nessuna ricostruzione potrà mai cancellare. Tutti gli altri hanno bene o male ricominciato, con orgoglio e tenacia e un angolo della testa e del cuore lasciato là, a quella notte. L’urlo di quel mattino, continua a rimbombare nelle orecchie di tanti, ogni notte, alla stessa ora.
Ogni volta che sento i rintocchi di una campana, il mio pensiero va al campanile perduto, e ogni rintocco mi porta a contare in silenzio le vittime ignare di unassurdo destino.
Uno, due… sette… e ancora la conta di chi non ce l’ha fatta poi, i numeri delle persone ferite, le famiglie sfollate e l’infinità di cuori infranti. Il danno all’anima non si può quantificare, il numero di chi ancora oggi respira la polvere delle macerie di quella notte, è troppo elevato per poterne tenere il conto.
Voglio credere che la terra si sia davvero calmata. La sua ira inattesa, sopita. Ora continua il suo girotondo della vita, alternando il giorno e la notte nel ciclo naturale delle cose. Lo so che il suo occhio è attento, pronto ad un nuovo scossone, nel caso ricascassimo nell’indifferenza. Il suo girotondo perfetto intorno al sole e su sé stessa è la linfa della nostra vita, ma tutto poggia su un equilibro sottile che purtroppo la mano dell’uomo può contribuire ad alterare.
Ho immaginato milioni di volte il nostro vecchio e stanco pianeta, continuare a girare su sé stesso, cullandoci come una tenera madre, ma anche la ninna nanna più dolce può subire un brusco cambio di tono.
Un tono severo che può colpire tutti quanti senza lasciarti nemmeno il tempo di renderti conto di ciò che sta accadendo. Quella notte, non è stato un episodio isolato, già in passato il nostro paese aveva subito questi scatti di ira o semplici avvertimenti. Ma era accaduto a tanti chilometridi distanza e seppure vicini e solidali con quei paesi e con chi aveva perso tutto, la nostra vita era proseguita come sempre. I racconti di chi ha dovuto ricostruire da zero la sua vita, mi erano fino a quel momento, arrivati come un eco lontano. Il posto sicuro, le loro certezze, spazzate via in una manciata di secondi.
Il brusco risveglio di quel mattino, mi fece rimettere tutto in discussione.
Mi ritrovo nuovamente seduta, per terra, in strada. Circondata da disperazione, incredulità e smarrimento. Una coperta sulle spalle.
Mi confondevo tra decine e decine di persone che con il cuore in gola guardavano le macerie che azzeravano le loro vite. La gola secca e non solo per lo spavento, ma per quella polvere che si era depositata in ogni parte del mio essere e aveva ostruito ogni passaggio all’aria impedendomi quasi di respirare. Se non fosse stato per la mia bambina che respirava stretta al mio petto, avrei creduto di essermi trasformata in una stata di pietra. Mi sentivo come quelle macerie, che sarebbero rimaste lì per giorni, settimane, mesi, a testimoniare il passaggio di una forza che nessun essere umano era in grado di controllare.
Attorno a me, la macchina dei soccorsi si era già messa in moto. Frenetica, efficiente, pronta. Nonostante la sorpresa, l’urlo inatteso, la gente aveva iniziato da subito a reagire. Solo io me ne stavo lì a guardare, o almeno così credevo. Uno.. due.. tre.. Sette.. Quante erano le persone che non si sarebbero rialzate? Non riuscivo a fare nulla se non a stringere a me la mia bambina che finalmente aveva smesso di tremare e si era addormentata tra le mie braccia. Sperai che quel sonno le facesse dimenticare ogni cosa, assurdamente pensavo che avrebbero dovuto fare in fretta così che lei al suo risveglio, ritrovasse tutto a posto. La sua stanza, i suoi giocattoli, la nostra vita. Ma nemmeno tutta l’energia e la passione di tutti gli Emiliani messi insieme, tutto l’orgoglio e l’altruismo del mondo, tutta la buona volontà e milioni di mani nude che scavavano sotto le macerie, potevano fare quel miracolo.
Ci vollero infatti, molti altri risvegli prima di riavere in parte quella che amiamo definire una vita normale. Ci vollero centinaia di giorni, prima di riuscire a considerare quella notte, un ricordo. Non posso dimenticare. Non voglio dimenticare.
Osservo il mondo, le cose, le persone e mi accorgo di quanto quella notte mi ha cambiata. Per molto tempo anche io come tanti, mi sono permessa di essere egoista e disinteressata. Non ero che una goccia nel mare e il mio niente non sarebbe stato notato. Pensavo che infondo non facevo nulla di male e se non facevo nulla comunque non sbagliavo. Da quella notte, noto ogni particolare, ogni gesto mi convince che anche la più piccola e banale azione può aiutarci a migliorare le nostre condizioni di vita, o a peggiorarle, dipende da quale è questa azione. Comunque, niente fa più male dell’indifferenza. Da quella notte anche la mia coscienza ha subito uno strattone e finalmente si è risvegliata. Il frastuono di quella notte mi ha gridato in faccia la nostra fragilità. I miei occhi si sono aperti e ho visto le certezze crollare, insieme ai muri, squarciarsi, come voragini su una strada.
Negli anni ho imparato a convivere con quel frastuono. Dentro di me c’è sempre la sensazione di una musica interrotta, bruscamente. L’armonia di decine di vite, spezzate in pochi secondi. Perdere la propria casa, le proprie cose, gli oggetti inutili e i pezzi speciali che ci hanno accompagnati nei nostri diversi momenti, è devastante, ma perdere qualcuno che quella notte si era addormentato con te, e al mattino si è trovato inghiottito dalla terra stessa sulla quale fino a pochi momenti prima aveva camminato, aveva corso, lascia un vuoto e una disperazione tale che nemmeno si riesce a descrivere. Cerco così di recuperare giorno per giorno quella melodia interrotta, continuando a cantare a bassa voce le parole di una canzone che ci accompagna per tutta la nostra esistenza.
Quella notte, guardavo quelle persone intorno a me. Qualcuno piangeva, altri correvano verso cumuli di pietra, altri urlavano, molti chiamavano ad alta voce un nome. Altri, come me, se ne stavano impietriti stringendo al petto il tesoro più prezioso, ringraziando in silenzio di non dover gridare un nome.
Tra non molto sarà il decimo anniversario, ma non sarà diverso dal primo, dal secondo e così via perché ogni anno, lo stesso giorno, alla stessa ora, il mio cuore inizia a tremare.
Quel momento è un segno indelebile che non andrà mai via e che accompagna i miei pensieri e quelli di centinaia e centinaia di persone, ogni giorno.
Forse di eventi come questo ce ne sono stati a centinaia, forse, purtroppo, ce ne saranno altri, ma ho capito che nessuno può mai abbassare la guarda. Perché non sempre lì sentiremo soltanto raccontare… Certo non possiamo pensare di vivere nel terrore che succedano tragedie, altrimenti la vita diventerebbe un incubo e perderebbe la magia della fantastica avventura che invece è.
Possiamo prevedere eventi estremi? Possiamo fare qualcosa? Forse. Nel dubbio sicuramente è meglio mettere da parte l’indifferenza e pensare che nulla è dovuto. Dobbiamo amare ed essere grati di ciò che abbiamo e soprattutto rispettare il mondo in cui viviamo, perché abbiamo solo questo e una vita sola per cercare di vivere al meglio. Quindi, come un’orchestra armoniosa, riprendiamo da dove ci hanno interrotti quella notte e suoniamo al meglio la nostra melodia.
Antonietta Cantiello