
Le luci della salvezza
Asad impaurito chiuse gli occhi e abbracciò forte mamma Keshia, appoggiandosi sul suo petto, la donna lo strinse e gli coprì il capo con lo scialle, impedendo che i suoi occhi vedessero gli orrori che si stavano consumando nella notte. Il ragazzino però udiva le urla di chi, a causa del mare agitato che faceva oscillare il barcone, cadeva in acqua e a ogni tonfo sobbalzava.
‹‹Non temere, amore mio!›› gli sussurrò la mamma, baciandolo sul capo, ‹‹Allah veglierà su di noi››.
‹‹Ho paura! Non voglio morire›› rispose il figlio con un filo di voce.
‹‹Andrà tutto bene, presto arriveremo a destinazione›› lo rassicurò la donna, pur non credendoci.
‹‹Io non ce la faccio, non riesco a muovermi, siamo in troppi su questo barcone e poi sto morendo di fame›› disse il giovane, sollevando il capo.
Keshia rovistò nell’unica borsa che aveva portato con sé e tirò fuori l’ultimo pezzo di pane che sarebbe stato il loro pranzo l’indomani e, senza dire una parola, lo mise nelle mani del figlio che in poco tempo lo divorò. Sazio si appoggiò di nuovo alla mamma e lei lo avvolse nel suo ampio scialle riscaldandolo con il suo corpo. Asad senza accorgersene cadde in un sonno profondo… Ora che il figlio non la vedeva, la donna si abbandonò in un pianto silenzioso, tirando fuori tutta l’ansia che aveva accumulato. Troppa era la paura di non raggiungere l’Italia: la terra di cui spesso aveva sentito parlare dai suoi connazionali e che per loro rappresentava il luogo della salvezza. Erano tanti giorni che navigavano in mare aperto e, anche se con Asad ostentava calma e sicurezza, nel suo cuore si facevano spazio la disperazione e il dubbio di arrivare vivi. Lei aveva fatto di tutto per onorare la promessa fatta al marito in punto di morte: dare al figlio tredicenne una vita migliore. Per questo motivo aveva consegnato tutti i suoi averi ai trafficanti per imbarcarsi, ma non immaginava che il viaggio sarebbe stato così duro. Ormai non poteva tornare indietro, l’unica cosa che le restava da fare era pregare che tutto andasse bene.
In preda allo sfinimento Keshia si stava per assopire, ma delle urla improvvise la fecero sussultare.
‹‹Terra! Terra!›› gridarono alcuni passeggeri, indicando con la mano.
La donna cercò di alzarsi ma non ci riuscì perché aveva troppa gente intorno, e poi il barcone continuava a muoversi nonostante il vento si fosse placato. Intanto Asad si svegliò.
‹‹Mammina, cosa è successo?›› chiese il giovane.
Dopo alcuni istanti altre persone esultarono: ‹‹Siamo salvi!››.
Keshia sgomitando si fece un pò di largo e a fatica riuscì a sollevarsi insieme al figlio. Non appena alzò gli occhi, il suo viso s’illuminò e senza distogliere lo sguardo disse sorridendo:
‹‹Guarda amore mio, quelle sono le luci della salvezza! Stiamo per approdare in Italia››.
Commossi mamma e figlio si abbracciarono. L’incubo del viaggio stava per finire e cosa più importante erano riusciti ad arrivare vivi e a lasciarsi alle spalle l’incubo della guerra: bombardamenti, cadaveri per strada, fame e disperazione…
Gran parte dei viaggiatori incuriositi si alzarono, altri dalla felicità iniziarono a saltellare rendendo ancora più instabile l’imbarcazione, e a nulla valse l’invito dei passeggeri a stare fermi perché qualche istante dopo un’onda altissima raggiunse il barcone e lo capovolse. Finirono tutti in acqua. Chi sapeva nuotare riuscì a raggiungere la riva, alcuni furono salvati dalla Guardia costiera italiana che, poco prima, aveva avvistato la chiatta e già si stava dirigendo verso di essa, ma per molti altri “le luci della salvezza” si spensero per sempre.
Keshia si svegliò il giorno dopo in ospedale, non era molto lucida ma abbastanza da chiedere del figlio Asad. I medici non avevano il coraggio di dirle che era tra i dispersi, cercavano di tergiversare ma alla fine le confessarono la verità. La donna rimase impietrita! Non versò una lacrima e da quel momento non proferì più parola, era come se quella notizia l’avesse talmente scioccata da bloccarle tutte le emozioni, anche il recupero fu lento, aveva perduto la voglia di lottare. Trascorreva quasi tutto il tempo a letto o seduta davanti alla finestra, fissando il vuoto. I medici erano molto preoccupati dello stato di Keshia soprattutto perché iniziò a rifiutare il cibo. In pochi giorni, il suo corpo già esile, si ridusse in uno scheletro. Sembrava che niente potesse scuoterla, ormai aveva deciso di lasciarsi andare, però non aveva fatto i conti con il destino…
Un giorno, all’ora di pranzo, per l’ennesima volta non volle mangiare e l’infermiera provò in tutti i modi a convincerla, ma lei continuava a scuotere la testa e a serrare le labbra. Un medico, che entrando nella camera aveva assistito alla scena, sorridendo disse a gran voce: ‹‹Vediamo se questo giovanotto riuscirà a farle cambiare idea››.
Keshia si voltò incuriosita e dalla porta vide comparire il suo amato figlio. All’improvviso recuperò le energie tanto da mettersi seduta in mezzo al letto.
‹‹Asad, amore mio! Sei vivo…›› gli disse con voce fioca e spalancando le braccia.
‹‹Mammina mia!›› urlò il ragazzo, mentre correva ad abbracciarla.
La donna lo strinse con tutta la forza che aveva, le lacrime scendevano incontrollate ma per fortuna erano lacrime di gioia.
Per Keshia e Asad le luci della salvezza non si erano mai spente e ora, finalmente, potevano iniziare una nuova vita.
Coppola Tiziana