
Il Re e il suo regno
Una fitta selva di rami e foglie nascondeva la vista di un fiume carico del fruscio della sua acqua che scorreva lenta. In questa ansa tutto sembrava un dipinto appena uscito da una favola. Con la città di Mantova alle nostre spalle, guardavamo una barca dal tetto bianco lucido che aspettava solo che i nostri piedi poggiassero i loro passi all’interno del suo ventre.
Una città piena del suo affascinante stile rinascimentale, contrapponeva le sue guglie rosate a tutta la natura che la circondava e mi sembrava essere già questo contrasto l’antitesi di ogni aspettativa. Ma come spesso i ricordi lasciano un segno tra i pensieri, così anche la gita che con la famiglia mi apprestavo ad iniziare, avrebbe ben presto lasciato un indelebile cenno tra le nostre ispirazioni di vita.
Dal piccolo pontile in legno si estendeva una insolita enorme distesa azzurra, quasi come se sotto la nostra voglia di esplorare il Mincio, non ci fosse un fiume con le sue anse, ma un intero lago. Di fronte a noi, un’isola. Alte figure in lontananza si alternavano a basse sagome scure che sembravano dune irregolari. Ma era in quel margine di verde che affiora nel mezzo del Mincio che giungemmo alla prima sorpresa, non appena iniziò la navigazione.
«Ecco l’isola dei fiori di loto».
Annuncio con aria solenne la nostra guida. Quella che da lontano sembrava un’isola composta da arbusti, in realtà non era altro che una lunga sponda di fiori di loto riaffioranti dalla superficie dell’acqua. Rimanemmo tutti affascinati nell’osservare la miscela di linfa e vegetazione che la natura aveva saputo creare in quella occasione, ma venimmo immediatamente riportati alla realtà di ciò che noi esseri umani avevano contribuito a plasmare.
«La temperatura del pianeta e di queste acque, sono in continuo aumento. I ritmi delle stagioni cambiano e queste piante fioriscono sempre prima. Causandone una breve durata».
Ciò che la guida salita insieme al gruppo di turisti sul battello elettrico ci aveva appena enunciato, ci lasciò alquanto perplessi.
«E’ un sistema così fragile questo agglomerato di fiori di Loto?»
Dalla risposta alla domanda di uno dei membri del viaggio, scoprimmo che le zone umide della valle del Mincio, fornivano benefici naturali per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, ma andavano tutelati da persone che ne avessero a cuore la loro biodiversità.
In pochi minuti circumnavigammo l’isola e ci ritrovammo in un’ansa. L’odore pungente di fogliame e fango si mischiava al rumore flebile dell’acqua che scivolava lungo le fiancate del battello elettrico.
«Eccoci in punto particolare».
L’uomo che ci faceva da capitano abbassò la voce per renderla quasi impercettibile, quasi allo stesso livello del rumore delle batterie che alimentavano il mezzo che scorreva sul fiume.
«Se stiamo abbastanza fermi e zitti, forse riuscirò a farmi vedere il vero Re di questo habitat naturale».
Senza aggiungere altro, egli cominciò a scrutare i canneti a poche decine di metri dall’imbarcazione, destando la curiosità di tutti. Intorno a noi un silenzio assoluto faceva da colonna sonora alle nostre attese. Un senso di grandezza mi prese l’animo e mi sentii piccolo di fronte a tutta quella vegetazione.
Passarono alcuni interminabili minuti ma nulla accadde. Colui che ci stava portando alla scoperta del suo territorio emise un leggero sospiro e si girò verso il nostro gruppo di esploratori del Mincio, allargando le braccia sconsolato.
«No, purtroppo temo che non sia qui».
Fece cenno al macchinista di ridare corrente al motore e di continuare con la navigazione verso ovest, verso una nuova, più piccola, ansa del fiume. Guardai la mia famiglia sgranando gli occhi cercando di capire dalle loro espressioni se avessero compreso quale importante elemento la nostra guida stesse cercando di mostrarci. Di tante specie di avifauna questo sito era pieno e anche molte particolarità floreali avevano ispirato pittori come Monet a fermarsi lungo le rive per dipingere emozioni impressioniste, ma proprio non riuscivamo a capire quale fosse il Re di cui la guida narrava.
Provammo quindi a chiedere spiegazioni ma quasi nulla uscì dalle labbra di colui che intendeva mostrarci un qualcosa che, a sua detta, non poteva essere descritto.
«Non sarà mica quella enorme costruzione che vedo la in fondo, il Re di cui parla?»
Una elegante signora coperta da un cappello blu, indicò un traliccio in lontananza sul quale sembrava esserci appollaiato qualcosa di grosso. La guida girò la testa nella stessa direzione dove puntava il dito della donna, ma intenzionalmente ci esortò a non soffermarci troppo su ciò che si poteva osservare.
«Non è un qualcosa di così visibile, ciò che stiamo cercando. Dobbiamo concentrarci su qualcosa che non si nota al primo sguardo».
Poi però, alzò un dito verso quel traliccio e provò ad aiutarci nella ricerca.
«>Non siamo comunque lontani da ciò che cerchiamo. Se guardate bene su quel traliccio laggiù c’è qualcosa che appartiene al Re che stiamo cercando».
Guardai meglio anch’io insieme a tutto il resto della ciurma ma non riuscii a capire cosa fosse quell’oggetto che sembrava posizionato quasi in cima a quella impalcatura di ferro. Un signore di fianco a noi estrasse un binocolo dal borsello che teneva a tracolla e provò a puntarlo in direzione di quel mistero.
«Sembra paglia».
Gli occhi della guida si illuminarono.
«Più o meno. Siamo sulla buona strada. Non è paglia ma come elemento ci somiglia».
Mentre il battello costeggiava strette sponde, giungemmo ad una piccola oasi di terriccio brullo che spuntava dalle acque.
L’espressione di chi ci faceva da Cicerone, si rabbuiò per un istante mentre ci invitava a guardare a ciò avevamo davanti.
«Fino all’anno scorso questo lembo di terra era sommerso. Oggi il Mincio è basso. C’è meno acqua. Non so cosa ci aspetterà questa estate. E tutto a causa dei cambiamenti climatici. Però, al momento, sembra un fatto passeggero. Ci sono esperti che ne stando studiando cause ed effetti».
Il sorriso che sfoggiava ora, non poteva che essere la spiegazione più convincente di come si dovesse essere sempre vigili nei nostri comportamenti.
Superammo l’isolotto affiorante e un complesso sportivo in lontananza su una riva, fino a che giungemmo ad un laminato di ninfee. Numerosi uccelli presero il volo all’arrivo del nostro battello elettrico. Poco rumoroso non inquinante di certo, ma troppo invasivo forse per la loro nascosta quiete ricercata in quel tratto di palude.
Usignoli, Cannareccioni, Cannaioli a Basettini sorvolarono l’aria limpida poco sopra le nostre teste. Proprio mentre la guida, riconoscendo ad uno ad uno i pennuti, ce ne elencava i nomi. Quanti dei presenti era dispiaciuto come me di aver turbato l’immobilità di quel piccolo frammento di vite?
Il dubbio mi rimase fino a che non arrivammo a tanti piccoli cumuli di terra che separavano il fiume in diverse anse. Stretti canali portavano in ogni direzione e, al limitare di uno di essi, scorgemmo una costruzione in legno. Al suo interno, luci e voci festanti facevano presagire la presenza di esseri umani in allegria.
«Quelle luci la in fondo che vedete sono quelle degli Amici del Siluro!».
Tutti noi volgemmo lo sguardo verso i suoni gutturali che sembravano sempre più esultanti. Mentre le spiegazioni continuavano.
«E’ il luogo di ritrovo di una associazione che pesca il pesce siluro. Contribuiscono a non fare proliferare questo pesce. E’ talmente vorace che lo chiamano lo squalo d’acqua dolce. Questi pescatori vengono da tutta Europa sapete? Il Mincio è un buon posto per pescarlo in quantità tali da garantire che non faccia sparire tutti gli altri pesci e, ovviamente, lasciandone un numero sufficiente per l’equilibrio naturale».
Quella piccola costruzione di pochi metri quadrati mi sembrava davvero in grado di poter contenere tutta l’immensa spensieratezza di quei pescatori. Per un attimo, quel luogo mi apparì come un piccolo punto di partenza per una umanità che avesse più voglia di condividere le proprie vite e più interesse a preservare quelle degli altri. Se quei membri avessero voluto usare quel posto per sempre, avrebbero sicuramente dovuto continuare a frequentarsi per preservare tutti insieme alla salvaguardia di ecosistema.
«E’ fra loro il Re che aspettiamo di veder apparire?»
Osò chiedere una ragazza evidentemente ancora molto incuriosita dalla faccenda iniziata da colui che guidava questa ciurma di viaggiatori.
Molte persone del gruppo, ormai certe che l’argomento in questione riguardasse un animale, immaginarono che fosse il pesce siluro ciò che la ragazza intendesse. La guida le regalò uno sguardo incoraggiante, ma dovette deludere le sue aspettative e anche quelle di parte degli altri turisti. Nulla di ciò che pensavamo potesse essere il nostro Re, era compreso fra le questioni che l’ecologica costruzione in legno proponeva.
Il battello proseguì il suo scivolare lungo la stretta scia in cui le sponde costringevano il fiume, finché non arrivammo ad un bivio. I sensi di tutti noi si acuirono su consiglio di chi ci stava portando su quelle acque.
«Se fino ad ora non lo abbiamo ancora visto, il Re deve essere per forza qui. Osservate bene se vedete qualche canneto muoversi».
Il battello prese una delle due strade e voltò la prua per infilarsi in un dedalo di acqua e grumi terrosi. La vegetazione si faceva via via sempre più fitta e ogni cosa sembrava prendere l’aspetto di una palude.
«Stiamo entrando nella riserva naturale delle valli del Mincio, se non ci appare ora, credo che non avremo altre occasioni».
Questo Re così evasivo, cominciava realmente ad insinuarsi nei nostri più reconditi desideri. Chissà se lo avremmo visto. Ma soprattutto ancora dovevamo capire di cosa, o di chi, la guida stesse parlando.
Mentre l’acqua diveniva sempre più ferma a causa dei ristagni dell’acquitrino, navigammo fra colori che si mischiavano tra loro. Il cielo si confondeva con la linea del liquido trasparente e la terra dei continui isolotti si intricava con le sfumature del verde che ci stava sopra. Rapiti da tanto splendore, quasi nessuno dei familiari si accorse che due grossi uccelli galleggiavano sul pelo dell’acqua e, vigili ai nostri movimenti, si affiancavano al natante. D’un tratto, qualcuno li notò.
«Due cigni!».
Ci sussurrò la guida.
«Non gesticoliamo e non urliamo, così non li spaventeremo e potremo osservarli ancora un po. Almeno finché non si stancheranno di stare così vicino a noi».
Questo comportamento suggeritoci, non poteva che essere l’unico per dimostrare agli animali che l’essere umano sa anche non essere invadente come aveva fatto poco prima con gli uccelli.
Mentre i due cigni sembravano mettersi in posa per farsi fotografare, io ripensavo a tutte le volte in cui un individuo della razza a cui appartengo aveva dimenticato cosa fosse il rispetto per ogni altro essere vivente. Ripensai a tutti gli animali ai quali stavano causando il rischio di estinzione e mi accorsi che il mondo sarebbe certo potuto andare avanti anche senza di noi, ma uno dei nostri scopi era quello di garantirne la continuità. Ricordai le frasi del Papa sul creato e sul nostro compito di preservarlo e, proprio mentre entrambi i cigni dispiegavano le ali per allontanarsi, sentii quella grandezza di essere parte di ogni cosa.
Questi cambiamenti climatici erano stati indotti dal modo in cui l’essere umano si comportava, ma principalmente dal modo in cui esso era fatto dentro. Con i suoi desideri di possesso e di sfruttamento delle risorse che questo pianeta regalava. Con la sua malcelata violenza nei confronti di chi era diverso e, quindi, ritenuto inferiore. Con la sua mancata opportunità di rendersi conto di essersi psicologicamente messo in un recinto esclusivo, senza aver capito che è con tutto ciò che c’è nell’universo, che la vita si completa.
Tutto questo vivere solo per la realizzazione di propri sogni, ci aveva fatto dimenticare quanto, invece, fossimo piccoli a cospetto di un mondo che esisteva solamente perché era interconnesso alla nostra anima.
Perso nei miei pensieri, purtroppo non sentii più alcuna spiegazione che ci veniva fornita in merito ai due bellissimi esemplari che per un breve istante si erano avvicinati a noi. Nel frattempo il battello riprese a navigare lungo il fiume che via via si faceva sempre più largo, diretto ormai vero il punto dal quale ci eravamo imbarcati.
Alberi maestosi e arbusti infiniti facevano da contorno a quel fluido azzurro dal quale ogni intanto affiorava qualche piccolo pesce. Immersi in questo spazio fiabesco pieno di colori tenui e odori lievi, passammo di nuovo accanto all’isola dei fiori di loto e assaporammo nuovamente la delicatezza delle forme floreali. Finché non avvistammo il pontile presso il quale avremmo attraccato.
La gita attraverso una parte delle meraviglie che circondano Mantova era terminata, ma tutti ci sentimmo vuoti. Come se fosse mancato l’appuntamento più importante.
«Ma il famoso Re?». Domandai volgendo i miei occhi speranzosi alla guida.
Le sue pupille, invece, svelarono un cenno di tristezza e si riempirono di malinconia.
«Temo non ci sia più. Se n’è andato. Ora vi svelo una cosa che sapevo da tempo ma ve l’ho taciuta apposta. L’ho fatto affinché capiate l’importanza di ciò che sto per dirvi a conclusione di questa escursione».
Tutti noi ci facemmo attenti. Avevamo capito che non avremmo sicuramente visto nessun monarca fra gli splendori di questa natura, ma volevamo capirne perché.
«Quello che avremmo dovuto vedere era un maestoso airone con la sua compagna. Erano il Re e la Regina di questa natura. Erano bellissimi, enormi e sembrava davvero che vegliassero su questo pezzo di territorio fluviale. Ma con la nostra quotidianità, gli abbiamo rovinato l’habitat. Facendo sì che il clima cominciasse a mutare, abbiamo indotto modifiche naturali in questo territorio che hanno fatto decidere ai due aironi di trovarsi un altro posto in cui vivere».
L’interesse di tutti ormai si era trasformato in un misto di dispiacere e rammarico. Lasciammo però che la guida finisse il suo racconto. Ciò che fu la conclusione del suo discorso, instillò in noi la certezza che potevamo ancora essere qualcosa di bello per questo pianeta che ci ospitava.
«Ma non tutto è perduto, Mantova ha un grande destino davanti a sé. Grazie ad iniziative sempre più ecologiche, stiamo entrando fra le principali capitali europee che hanno fatto della vivibilità un concetto di simbiosi fra natura e servizi al cittadino. La strada è ancora lunga ma io sono sicuro che i due aironi non sono andati lontano. Sono qua in giro, da qualche parte. Quello che avete visto su quel traliccio all’inizio del percorso era il loro nido. Ma il fatto che sia ancora intatto significa che non se ne sono andati da molto tempo. Ci hanno affidato il loro regno affinché tornassimo a renderlo vivibile per loro ancora una volta. E’ questo lo sforzo che dobbiamo fare. E’ questo parco delle valli del Mincio che deve tornare a risplendere. Altrimenti tutto sparirà come i due aironi e noi ci dimenticheremo di questa bellezza che abbiamo intorno».
Era questo il monito a di cui ci rendevano partecipi i due aironi con la loro partenza. Mentre l’imbarcazione accostava al punto di arrivo fatto di pali piantati sul fondale che sorreggevano una lastra di legno, io guardai per l’ultima volta l’incanto sofisticato del reame abbandonato.
Soffermai il mio sguardo sul fogliame che dava energia agli alberi lungo le sponde, ai pesci che rendevano vive le acque di questo fiume, nei fiori che donavano altri delicati colori al verde dominante dell’erba e al cielo che con il suo spazio riempito di aria salubre tentennava di fronte all’inquinamento atmosferico.
Le ultime parole della nostra guida mi avevano colpito a tal punto che realizzai che finché ci fosse stata quella bellezza d’animo che agli aveva saputo esprimere poco fa, l’essere umano avrebbe sicuramente saputo come tramutarla in fatti concreti. Lo splendore della vita che animava questo mondo non era ancora del tutto trasformato in qualcosa di arido. Nel profondo del nostro essere individui, albergava ancora quella luce che avrebbe contribuito a ricolorare ogni angolo di questa terra di esistenza pulsante.
Insieme alla famiglia, lasciammo l’imbarcazione, il pontile, tutte le persone con le quali avevamo condiviso quella esperienza e Mantova stessa con la certezza che, seppur nel secolo scorso avevamo costruito una società basata esclusivamente sull’essere umano, qualcosa in esso stava cambiando. Qualcosa che sarebbe stato un trampolino per un sistema nel quale le prossime generazioni avrebbero potuto capire cosa significasse esistere in simbiosi con ciò che sarebbe stato loro attorno.
Se la differenza tra turismo e viaggiare era che nel secondo caso non ci si portava a casa solo oggetti o emozioni ma anche prese di coscienza, la mia da quel giorno, fu che Mantova sarebbe sempre stata una meta nella quale tornare. Quanto meno perché, almeno qui, avevo trovato la certezza che la parte migliore dell’essere umano non era scomparsa e nemmeno seppellita. Ma riemersa sotto le macerie di una civiltà che si era dimenticata che vivere significa essere in relazione con ciò che si muove attorno.
Difatti, poco tempo dopo quella nostra visita, non solo Mantova divenne una delle principali città italiane che fecero della ecosostenibilità uno stile di vita, ma anche l’Airone tornò a troneggiare nel suo reame.
Castelnuovo Alessandro