
Gedeone
Gedeone iniziò a guardarsi intorno con piglio circospetto. Appena depositato nel bidone, si sentiva inquieto e tutt’altro che a suo agio perfetto. Il posto era sicuramente più spazioso della semplice pattumiera domestica. Ma c’era qualcosa che non quadrava. Anzi, più d’una.
Era tutto il giorno che Caterina, la padrona di casa (che aveva disposto al suo interno tutto ciò che andava buttato), era agitata, irrequieta e malinconica, se si voleva usare un eufemismo. Perché, a dirla tutta, era molto di più: arrabbiata, delusa e inevitabilmente triste. Disperata. Solo la sera prima, infatti, Tiberio, il suo compagno, se n’era andato di casa, sbattendo la porta dopo un lungo, animato litigio fatto di parole urlate e frasi accusatorie di una certa consistenza, di un certo peso.
Gedeone, da dentro la pattumiera, era rimasto ad ascoltare tutto con profondo sconcerto. Amava i suoi padroni, anche se sapeva che, prima o poi, loro lo avrebbero mollato, come se nulla fosse, dentro un cassonetto. E detestava le discussioni, i battibecchi e gli alterchi. I toni di voce elevati lo inquietavano letteralmente, gli incutevano paura e lo portavano ad accapponarsi… dalla base fino ai lacci per la chiusura.
Tuttavia, all’inizio, dopo le prime frasi, aveva sperato che si trattasse solo di un banale diverbio fra innamorati (lui non aveva mai provato questo sentimento, ma era propenso a capirlo), ingigantito da una gelosia che magari era anche senza fondamento.
Ma Tiberio, anziché smentirle, man mano le aveva confermate le insinuazioni di Caterina. E così, aveva sentito elevarsi chiaro nell’aria quell’ultimatum che gli aveva fatto accartocciare le viscere, ossia tutti gli involucri di plastica che conteneva: “Vattene, Tiberio, esci di qui e non farti vedere mai più”. Era stato terribile. Soprattutto l’attimo in cui la porta d’ingresso si era richiusa pesantemente e lui si era davvero reso conto di essere rimasto orbo di uno dei due padroni… Per tutta la plastica del mondo! Non poteva finire così. Avrebbe voluto, per protesta, deiettare all’esterno ognuna delle confezioni di plexiglas e ogni più piccolo pezzo di nylon che teneva racchiusi in sé.
Invece, era sceso il buio e, demotivato e impotente, Gedeone era rimasto al suo posto dentro la pattumiera, pieno quasi fino all’orlo e comunque incapace di scoppiare. E si era addormentato stringendosi ai vasetti vuoti dello yogurt, come se da essi potesse trarre consolazione.
Ora, dentro il cassonetto, quello grande rettangolare, posto in una piazzola adiacente un parcheggio di automobili, Gedeone esaminò di nuovo la situazione. Tutt’intorno a lui c’erano almeno altri dieci sacchi, tronfi come nuvole che minacciano pioggia e schiacciati gli uni contro gli altri, come sardine in una lattina… Oh, le lattine! Era lì che sarebbe dovuto finire lui, in mezzo a quelle sue sorelle di alluminio lucente, con cui la sua plastica andava molto d’accordo.
Invece, per un errore dovuto ad una grossolana distrazione da parte di Caterina, adesso si ritrovava fra panciuti portatori di immondizia generica e rifiuti di ogni tipo. Si voltò verso quello più vicino a lui e fece per dire qualcosa. Ma il suo odore forte e terribile di avanzi di cibo decomposti lo bloccò.
Impossibile iniziare una qualunque conversazione o anche solo porre una qualsiasi domanda. Una situazione paradossale. E tragicomica. Perché lui, Gedeone, con quelle buste maleodoranti non aveva nulla da spartire. Lui era un profumato sacchetto azzurro contenente solo raccolta differenziata.
Lorella Del Gesso