
Così è la vita
Tra i tanti particolari che portano ad amare l’autunno, ci sono senza dubbio i suoi meravigliosi colori. Anche il lago si tinge di nuove sfumature e il paesaggio diventa più affascinante. I larici secolari che ricoprono i versanti attorno alla costa, creano un’atmosfera speciale e rendono più suggestivo il panorama. L’alba è il momento migliore per godere di queste sfumature, quel tempo sospeso dove il giorno e la notte si confondono e regna una quiete quasi sovrannaturale. Una domenica di ottobre del 2008, Mario Bonelli, un pescatore del week end, col suo pick-up munito di carrello e gommone, arrivò sulla sponda più selvaggia del lago. Quello era il momento migliore per la pesca: nessun turista a fare schiamazzi, nessun sub a disturbare i pesci. Mario amava la pesca dalla barca, la considerava un’esperienza unica, gli creava un senso di vuoto mentale che lo aiutava a dimenticare i problemi e le preoccupazioni della vita. Si accese una sigaretta e fece scivolare in acqua il gommone. Avviò il motore e si rese conto di essere lievemente in ritardo perché il sole si era già levato all’orizzonte. Aspirò con gusto la sua Marlboro e si diresse verso una giornata senza pensieri. Era appena partito, a pochi metri dalla riva quando uno strano luccichio nell’acqua lo distrasse. Aumentava e diminuiva a seconda del movimento delle onde provocate dal gommone. Non poteva essere un pesce, era troppo grande, sembrava più uno specchio che con la luce del sole creava un angolo riflettente. Mise in quel punto una boa come segnale e fece un giro largo col gommone, il riverbero di luce si vedeva solo da un lato. Era curioso, così tornò alla boa, indossò una maschera da sub che teneva a bordo tra le tante cianfrusaglie e si immerse nelle acque fredde del lago. Non aveva molta resistenza in apnea per cui andò giù di pochi metri. Il fondale era buio ma riuscì comunque a visualizzare la sagoma di un auto. Chissà da quanto tempo era lì sotto, sicuramente con tutte quelle alghe e quello strato di melma che vi erano depositati doveva esseri lì da parecchio tempo ma come c’era arrivata? E soprattutto con chi? Quando tornò a riva diede subito l’allarme ai carabinieri e ai vigili del fuoco e in tarda mattinata iniziarono le operazioni di recupero. La FIAT Panda rossa prodotta nel 1985 riemerse dopo otto ore di lavoro dei vigili del fuoco, con lei riemerse anche uno scheletro umano e diversi brandelli di tessuto. Si aprì così il “giallo del lago”. Quella vecchia auto poteva essere nel lago da decenni ma fu ritrovata a soli dieci metri di profondità e a otto dalla riva. Probabilmente il motivo era da attribuirsi alle piogge torrenziali dei giorni precedenti che avevano smosso il fondale e quindi anche l’auto. Per il riconoscimento della vittima, fu determinante nei giorni successivi l’esame del DNA che escluse il delitto facendo pensare invece ad un incidente. Riportò alla memoria di coloro che abitavano in zona, quei fatti di febbraio del 1990, esattamente diciotto anni prima, quando Carlo Boldin sparì nel nulla senza lasciare tracce, alimentando ipotesi e leggende tra cui quella del suo ritiro a Santo Domingo al caldo e in buona compagnia.
L’8 febbraio 1990, Carlo Boldin come tutti i giovedì si era recato al torneo di burraco con gli amici. Classe 1930, aveva da poco compiuto 60 anni. Falegname di professione, aveva perduto i genitori entrambi per malattia qualche anno prima ed era rimasto solo. Non si era mai sposato ed era un uomo di mondo, un tipo brillante. Lui alle feste paesane non mancava mai. Non si poteva non notarlo: arrivava sempre con ragazze bellissime. Se qualcuno gli scattava una foto assieme alle super modelle diceva: “Mi raccomando, prendi il mio lato migliore!”. Occhi azzurri, capelli biondi con incipiente calvizie era comunque un uomo affascinante. Amava la compagnia e voleva essere sempre protagonista. Amante del cibo, del buon vino e delle belle donne non disdegnava mai cene e pranzi a casa di amici o all’osteria, il più delle volte esagerando col “carburante” come chiamava lui il vino. Una sera a proposito di esagerazione, aveva festeggiato il compleanno di un amico in un ristorante fuori paese, insieme al guardiacaccia e al sindaco. Avevano brindato diverse volte intonando anche qualche melodia alpina. Gli amici vedendolo un po’ provato decisero di accompagnarlo a casa senza che nessuno si curasse della sua Panda ferma al parcheggio dove si erano trovati per l’aperitivo. Gran bella serata ma molto pesante dal punto di vista alcolico. Quando nella tarda mattinata Carlo si svegliò, non vedendo la sua auto in garage e convinto di essere tornato a casa con essa, si recò in bicicletta nella vicina caserma dei carabinieri per denunciarne il furto. Parecchie ore dopo, quando la ritrovarono nel parcheggio chiusa a chiave, chiarirono subito il mistero, lo chiamarono al telefono e lo invitarono ad andare a recuperarla facendosi tutti delle grasse risate. Questo episodio che lui stesso raccontava al bar, diventò la barzelletta delle settimane successive. Era comunque una persona buona, sempre disponibile a dare una mano a chi ne avesse bisogno. Spendeva sempre una parola gentile per tutti o una battuta di spirito con le signore che lo adoravano. Carlo aveva la passione per il legno ne riconosceva il profumo e le venature ed era un bravo intagliatore. Aveva una piccola falegnameria adiacente all’autorimessa della sua abitazione. Iniziò per caso a realizzare sculture con un pezzo di legno che galleggiava nel lago. Creava dal nulla splendide creature per lo più animali dei boschi, volti femminili, mani contorte tese, chiuse a pugno in segno di rabbia. Sceglieva un pezzo di legno, si lasciava guidare dalle sgorbie e dallo scalpello e la scultura prendeva vita. Infondeva alla materia l’essenza della sua anima e i personaggi sembravano riemergere da quel legno che li aveva imprigionati per tanto tempo. Stava restaurando una piccola barchetta, l’avrebbe utilizzata per andare a pesca sul lago. L’avrebbe sistemata nel tempo libero scegliendo il legno più resistente e poi l’avrebbe dipinta con colori delicati. “La sistemerò con calma” pensava Carlo “ho tutto il tempo che mi serve” senza sapere invece che di tempo gliene restava ben poco. Era un amante degli alberi e del profumo della terra. Un pomeriggio mentre passeggiava nel bosco vicino al lago alla ricerca di legna da plasmare, si trovò davanti un episodio singolare. Vide una famigliola che si apprestava a salire in auto dopo aver trascorso una giornata all’aria aperta. Dopo che l’auto se n’era andata, Carlo si avvicinò dove questi avevano fatto il pic nic e rimase esterrefatto. Vide con ribrezzo che la tenera famigliola aveva lasciato sul prato i rifiuti e gli avanzi del loro pranzo. Bottiglie, carta, avanzi di cibo, c’era di tutto. Maledetti! Avete preso il bosco per una discarica? Pensò ad alta voce. Osservando meglio, si accorse che avevano utilizzato un quotidiano come tovaglia. Sicuramente lo avevano ricevuto per posta perché c’era l’indirizzo, nome e cognome del ricevente. Ebbe un’idea geniale. Raccolse tutti i rifiuti in una scatola di cartone abbandonata lì anch’essa, caricò tutto sulla sua panda e il mattino dopo con un pacco regalo e due righe di accompagnamento rispedì tutto al mittente. “Cari signori” scrisse sul biglietto, “Avete lasciato qui oggetti che non ci appartengono. La Natura è la nostra prima casa abbiatene rispetto!” tornò a casa dall’ufficio postale gongolante e orgoglioso di essere stato un paladino di Madre Terra. La serata del burraco fu molto produttiva per Carlo, aveva vinto diverse mani racimolando un bel gruzzoletto. Tra una partita e l’altra si beveva del buon nebbiolo al bar Derby, confortava lo spirito e il cuore ma qualcuno esagerò come al solito. Dopo aver riscosso la sua vincita, Carlo andò alla macchina ma non se la sentì di tornare a casa era stanco, un po’ubriaco e gli era salita la malinconia. Il cielo era terso illuminato da una miriade di stelle, lo respirò a pieni polmoni sentendosi parte dell’universo. Nelle vicinanze si udì il verso di una civetta. Carlo si fermò un attimo ad ascoltare quel canto lugubre e insistente che sembrava il pianto di un bambino. Gli tornò in mente il racconto della sua nonna materna. Lei narrava che il verso della civetta era associato ai lamenti delle anime dei trapassati per questo motivo essa veniva indicata come messaggera di disgrazie e presagi di morte. A quel ricordo Carlo rabbrividì. Mentre guidava, i pensieri si rincorrevano e si facevano nostalgici tornando al passato. Si chiese come sarebbe stata la sua vita se avesse fatto scelte diverse. Chissà se fosse rimasto con Anna, la sua fidanzata del liceo cosa farebbe ora. Magari avrebbe avuto dei figli e forse adesso sarebbe anche nonno. Oppure se avesse accettato quel posto in ferrovia, dove sarebbe la sua vita ora? Rinunciò a diverse opportunità per stare vicino ai genitori malati, sacrificando la sua vita e cambiando i suoi piani. Nessuno può dire come sarebbe andata se avesse scelto una strada diversa ma la vita è così imprevedibile e beffarda, quando pensi di avere in mano le carte giuste lei te le mescola e tu devi cambiare gioco. Tornando a ritroso nel tempo riaprì diversi cassetti della memoria facendo riaffiorare ricordi sopiti da molto. Ripensò ad una serata al luna park nel suo paese. C’era la compagnia della piazza, tanti amici con le moto. Per fare la goliardata entrò nella tenda della cartomante, una procace signora mora. Lo fece più per fare due risate che per farsi leggere le carte ma una volta dentro prevalse la curiosità. “Bel giovanotto vuoi sapere del tuo futuro?” chiese la signora. Senza neanche lasciarlo rispondere lo prese per mano e lo fece accomodare sulla poltrona rossa al centro della tenda. Era buio lì dentro e solo la luce fioca di una candela illuminava il tavolino. Amore, soldi, fortuna…la signora stendeva i tarocchi e snocciolava pronostici. Carlo non ricordava nulla tranne una frase che gli rimase impressa nella mente. La cartomante estrasse la carta finale del destino, era il tredicesimo arcano: la morte. Rimase perplessa e dopo un attimo ruppe il silenzio con una frase sibillina: “l’acqua sarà il tuo più grande segreto” Chissà cosa volesse dire? non lo comprese mai. Carlo tornò al presente al volante della sua auto. I pensieri, la malinconia e il vino gli ovattavano la mente. Si diresse verso il lago e si fermò in un punto dove la strada formava uno spiazzo, una sorta di belvedere sopra un piccolo promontorio. Da quel punto si vedeva la costa, le luci dei paesi si specchiavano nell’acqua rendendo il paesaggio simile ad un piccolo presepe. Faceva molto freddo quella sera, così lasciò il motore acceso e il riscaldamento al massimo mentre l’autoradio trasmetteva “Nothing Compares 2 U di Sinead O’Connor” “Farò solo un riposino, poi vado a casa, domani devo svegliarmi presto” pensò Carlo. Invece si addormentò profondamente, tanto da non rendersi conto di non aver tirato il freno a mano e che l’auto pian piano prese velocità lungo il promontorio mentre scivolava sempre più in basso. Alla fine della corsa la Panda entrò nel lago ma fece ancora qualche metro prima di inabissarsi completamente, inghiottita dal buio del fondale. Carlo non si accorse di nulla neanche quando l’acqua invase completamente l’abitacolo e i suoi polmoni, continuò a dormire per l’eternità rimanendo intrappolato in quel segreto di acqua e silenzio per sempre. E’ così strana e incomprensibile a volte la vita, la morte ne resta il mistero più grande, essa arriva piano, in punta di piedi, soffia forte sulle carte e il gioco finisce per sempre.
Jessica Spina